Le farine che noi mangiamo….
Il cibo è un prodotto, ma anche cultura ed espressione di un territorio. Rappresentano l’identità del territorio e devono diventare parte fondamentale dello sviluppo. Le produzioni locali devono essere valorizzate anche attraverso un uso consapevole e responsabile delle materie prime per favorire la crescita economica e sociale collettiva.
La nuova attenzione del consumatore ai prodotti salutari, alle materie prime di qualità, e il prediligere prodotti del proprio territorio che garantiscono maggiori controlli della filiera, sono segnali di una nuova consapevolezza alimentare, che sta modificando un settore quasi esclusivamente industriale con la nascita di tanti laboratori artigianali di pasta e fresca e secca.
È noto che il grano per l’industria pastaria italiana, leader a livello mondiale, dipenda in gran parte dalle importazioni dall’estero , oggi la percentuale di importazione ha raggiunto il 50% delle esigenze, in particolare importiamo dai Paesi dell’Est europeo e dal Canada dove i prezzi sono più competitivi, in particolare per la grande industria, ma questi grani possono presentare problemi dal punto di vista alimentare: non solo vi è una maggiore quantità di glutine, ma anche la possibile presenza di micotossine nel prodotto dovute al trasporto o allo stoccaggio per mesi nelle navi o in silos non controllati.
I grani moderni e il tipo di macinazione consentono una più lunga conservazione e sono più adatti ad essere lavorati con le macchine industriali, ma sembra fondata l’ipotesi che la modifica genetica delle varietà di grani moderni sia correlata ad una modificazione della loro proteina, e in particolare di una sua frazione, la gliadina, che è un proteina basica, alla quale è dovuta l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento (celiachia e allergie).
Ecco perché il consumatore attento preferisce prodotti dalla filiera corta e comunque la tracciabilità del prodotto in tutti i suoi componenti.
Sempre in questa direzione va la nascita, nel 2015, della “Banca etica dei cereali della Sardegna e del Mediterraneo”, è la Rete di filiera del grano duro coltivato e trasformato in Sardegna (Sardo Sole).
Si tratta di un progetto che unisce tre territori (Marmilla, Sinis e Mejlogu) è ha come obiettivo quello di provare a ridurre l’importazione di grano americano in favore di quello sardo. La filiera mette insieme i consorzi di Villamar e Cabras, per un totale di circa centoventi aziende, con la duplice funzione di divulgare in maniera trasparente le politiche agrarie della filiera rispetto ai produttori e di incrementare l’utilizzo del grano duro da parte dei trasformatori regionali favorendo l’incontro tra domanda e offerta su basi etiche e valori condivisi tra cui garantire ai propri produttori un prezzo minimo garantito ante semine sul grano di qualità conferito. Fra i meriti del consorzio anche quello di aver selezionato ben otto qualità antiche di grano sardo.
Le zone vocate alla sua coltivazione sono principalmente quelle del Medio Campidano, in particolare le sub-regioni Marmilla e Trexenta, della Nurra e dell’Anglona in provincia di Sassari. Le varietà maggiormente coltivate sono Simeto, Colosseo e Duilio. Ma i coltivatori da anni stanno cercando di reintrodurre coltivazioni antiche e l’aumentata richiesta di prodotti di pane e paste fresce o secche ottenuti da grani duri sardi si ha portato alla ricerca e riscoperta di antiche cultivar presenti in Sardegna , quando era considerata il granaio di Roma, come quella del ‘Senatore Cappelli’, particolarmente votata alla produzione di farine per pane e pasta di altissima qualità.